Die Ursprünge einer Leidenschaft

Le origine di una passione

René Mayer (1947) è nato e cresciuto nella Svizzera tedesca, nella regione di Basilea. Basilea, terza città svizzera, confina con la Germania e la Francia lungo il grande asse fluviale del Reno. La città, industriosa e diligente, commerciale e prospera, è nota per la sua grande tolleranza. Il cosmopolitismo di René Mayer ha quindi radici solide. Ma non è tutto!

Le origine di una passione

René Mayer fa parte di quegli ottimisti incalliti che sostengono che gli ostacoli sono fatti per essere superati. Ciò che intraprende, lo sviluppa con passione e lo porta avanti con determinazione. Fin da giovane, mostrava un forte bisogno di autonomia e una solida volontà di successo. La prova? Mentre era ancora un bambino alle scuole elementari, si improvvisò con successo dog walker (fino a sei alla volta!) per arrotondare il magro stipendio che i suoi genitori gli concedevano. Più tardi, nell’adolescenza, guidò in tempo record il gruppo degli scout di cui era responsabile, arrivando al primo posto nella classifica degli scout di Basilea… Insomma, nessuna sfida lo scoraggia, ma tutte lo stimolano. Anche oggi – e sicuramente anche domani!

Questo spirito imprenditoriale precoce si è sviluppato nel corso degli anni fino a culminare nella fondazione, negli anni ’70, di un’azienda commerciale presto fiorente dedicata all’arte della tavola – ma questa è un’altra storia. Avendo acquisito grazie a questa azienda l’autonomia finanziaria desiderata, René Mayer ha potuto dedicarsi più liberamente rispetto ai suoi amici artisti, di cui aveva perfettamente compreso le ansie e i problemi esistenziali, alla sua attività pittorica e plastica.

Un ribelle poliedrico

Il corollario e il prerequisito di questa attività senza limiti né pause è la curiosità innata, quasi insaziabile, di René Mayer. Per lui, nulla è a priori privo di interesse – soprattutto nel campo culturale. Fin da giovane è stato appassionato d’arte in tutte le sue forme, scoprendo ad esempio con sorpresa e entusiasmo l’architettura organica straordinaria del Goetheanum di Rudolf Steiner e degli edifici circostanti, a Dornach. La rottura culturale indotta e simboleggiata dai concetti architettonici di Steiner (di cui non condivide la concezione antroposofica del mondo) lo ha attratto, perché vibrava all’unisono con una corda particolarmente sensibile del suo carattere: lo spirito ribelle.

Ribelle, René Mayer lo è stato fin dall’infanzia. Ma la sua ribellione non è mai stata un atto di pura rappresentazione, un’opposizione di principio o di opportunità. Quando si ribella, lo fa per convinzione, perché si trova di fronte a una situazione ingiusta, abusiva, arbitraria, idiota, iniqua. E lì, lotta sia per gli altri che per sé stesso senza preoccuparsi delle perdite. È questa mentalità libertaria, questa volontà di rompere con il conformismo dominante che lo ha spinto fin da giovane a diventare artista – ovviamente contro la volontà dei suoi genitori, che avrebbero preferito vederlo intraprendere una carriera decisamente borghese!

Un prodotto del territorio...

René Mayer è un vero prodotto del territorio! Il suo eclettismo e il suo liberalismo affondano le radici in un microcosmo socio-culturale basilese nutrito dai tre umanesimi che hanno lasciato il segno nella regione – il tedesco, il francese e lo svizzero – e sui quali si è sviluppata nel corso dei secoli la grande tradizione di tolleranza che ha permesso a grandi menti europee, talvolta perseguitate e spesso misconosciute altrove, di prosperare sulle rive del Reno. Ma se la città è stata un porto accogliente per gli intellettuali come Erasmo, Jean Œcolampade e Leonhard Euler, è stata anche un rifugio per artisti altrettanto rinomati come Arnold Böcklin, Pipilotti Rist o Jean Tinguely – un Jeannot che René Mayer apprezza particolarmente e al quale la città dedica una venerazione quasi idolatrica… E non dimentichiamo la cosiddetta “cultura alternativa”, per la quale Basilea e la sua regione sono sempre state un terreno fertile! In questo mondo molto particolare, patrizio e lussuoso, ma anche discreto e colto, denaro e cultura si incrociano e vanno d’accordo. Le favolose collezioni private lasciate o prestate ai musei basilesi lo testimoniano così come la famosa mostra annuale Art Basel, che attira artisti e gallerie da tutto il mondo nella città renana.

Risiedendo ai margini del cantone, René Mayer è un assiduo frequentatore della Fondazione Beyeler e delle istituzioni culturali regionali. Quando “ausculta” i dipinti di Mark Rothko nella penombra ben dosata del magnifico edificio creato da Renzo Piano, quando riscopre l’opera tarda di Paul Klee in una sontuosa retrospettiva, quando segue le tracce di Paul Gauguin nella sua vita e nel suo lavoro, seguendo i viaggi geografici e artistici del pittore, o quando vibra con il vento che accarezza gli alberi avvolti da Christo e Jeanne-Claude nel parco della Fondazione, non è mai sazio, mai appagato – mai annoiato.

Tra esuberanza e razionalità

Abbiamo parlato del fascino esercitato sull’architettura organica del Goetheanum su René Mayer. Ma questo gusto per le forme biomorfe è solo uno dei poli della sua sensibilità artistica. L’altro è la sua predilezione per la semplicità e la sobrietà, come sostenuto fin dagli anni ’20 da un’accademia che diventerà famosa in tutto il mondo: il Bauhaus di Walter Gropius, aperto nel 1919 a Weimar, trasferitosi nel 1925 a Dessau e smantellato nel 1933 a Berlin-Steglitz in risposta alle pressioni esercitate dalle autorità naziste. In questa istituzione, la ricerca e l’insegnamento si sono inizialmente concentrati sulla rivalutazione della funzione artigianale nell’arte. Successivamente è venuta la riflessione sulla semplificazione delle forme dei beni di consumo comune. Che si tratti di sale, teiere, lampade da comodino, carte da parati o mobili – principalmente sedie e divani – per citare solo alcuni esempi, lo stile ereditato dal secolo precedente è stato fondamentalmente messo in discussione. Nello spirito dei “maestri” (come venivano chiamati gli insegnanti del Bauhaus), lo scopo della semplificazione delle forme era sia industriale (creare oggetti che potessero essere prodotti in modo molto razionale) che estetico (creare oggetti belli). Questa riflessione ha culminato nel concetto di “meno è più”, quindi nel rifiuto di qualsiasi ornamento superfluo – un concetto che era anche il motto dell’architetto e designer tedesco-americano Ludwig Mies van der Rohe, uno dei “maestri” più influenti del Bauhaus. Mies van der Rohe ha giocato un ruolo determinante nella diffusione mondiale dello spirito del Bauhaus. Il famoso padiglione tedesco all’Esposizione Universale di Barcellona del 1929, da lui progettato insieme a Lilly Reich, e la poltrona “Barcelona”, creata per questo padiglione, sono tra le sue realizzazioni più note.

Per tornare ai due assi concettuali che guidano René Mayer: un ragionamento (troppo) veloce potrebbe portare a presumere che l’artista mostri una sconcertante ambivalenza nel abbracciare contemporaneamente due dottrine totalmente antitetiche. Ma la contraddizione è solo apparente. O, per essere precisi, riguarda solo uno degli aspetti della questione: lo stile. È ovvio che lo stile pulito del Bauhaus è in contrasto – o meglio in contrappunto – con il design biomorfico talvolta esuberante dell’architettura organica. La domanda è quindi: cosa collega il mondo del Bauhaus a quello del Goetheanum? La risposta è di una luminosa evidenza: l’approccio artigianale proprio delle due filosofie. Perché l’architettura organica, che vuole svilupparsi in simbiosi con la natura, come rivendicano le creazioni di Frank Lloyd Wright, privilegia logicamente materiali naturali come mattoni, legno e pietra – e stimola di conseguenza l’artigianato che li mette in opera. Steiner (che ha costruito il Goetheanum in cemento, non dimentichiamolo…!) così come Gropius sono perfettamente consapevoli dell’importanza della manualità artigianale. Nei suoi precetti di insegnamento, Steiner va persino oltre dicendo che l’obiettivo del lavoro manuale scolastico (oggi “arti plastiche”) non è quello di insegnare agli studenti una buona padronanza delle tecniche artigianali, ma di portare alla creazione di oggetti utili e utilizzabili.

Quindi, la consapevolezza dell’importanza vitale – nel senso di “indispensabile alla vita” – dell’artigianato è il filo conduttore che guida René Mayer. Quando dice che è nell’intimo un artigiano, mette chiaramente, ma senza verbalizzarlo, l’accento sulla nozione di vita: Il cuore è il luogo dove non batte solo il polso della vita biologica, ma anche quello della vita emotiva. – Nel corso degli anni e delle sue sperimentazioni artistiche, René Mayer ha sempre più profondamente compreso ed assimilato la necessità vitale dell’atto creativo e l’importanza di produrre qualcosa con le proprie mani. È nell’onestà e nell’umiltà di questo approccio che nasce la fiamma che conferisce alle opere la personalità, la legittimità e la vitalità che i prodotti provenienti da una fabbrica dall’altra parte del mondo non avranno mai.

Conclusione

Piuttosto che nei precedenti familiari, bisogna cercare le origini della passione artistica di René Mayer nel suo temperamento ribelle, in sintonia con le profonde mutazioni sociali degli anni ’60 e ’70, e nel clima indotto da queste nel microcosmo culturale di Basilea che frequentava. I suoi genitori facevano certo parte della borghesia illuminata, ma non praticavano le arti in quel periodo. È solo molto più tardi che il patrigno di René Mayer (secondo marito di sua madre) si è dedicato alla pittura e alla scultura, ma senza farne una carriera.